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PROEMIO. XXXI

versale, egli la accompagnava del famoso ’come dicono’, che significava: come direbbero quegli esseri compassionevoli che sanno quello che io non so, o hanno un’idea per la quale a me manca la parola. Oggi, il nuovo ideale suona all’incontro: scrivere e parlare per modo, che nel nostro discorso il Fiorentino non possa trovar mai nulla che sia disforme dalla sua domestica favella; evitare che il Fiorentino (il quale, del resto, lasciato a sè medesimo, rinunzia ben facilmente all’enorme autorità di cui lo vorrebbero investito) possa mai ridere della nostra imitazione imperfetta. Perciò tentare, con quel maggiore sforzo che alla nazione sia dato, di venir presto a tali condizioni, che da ogni terra italiana possa nascere spontanea una novella o una comedia in pretta favella fiorentina. L’Arte, che crede aver pronta una forma squisita, non può di certo aspettare, che la progredita cultura rifaccia la nazione, e poi surga un teatro, non veneziano o piemontese o fiorentino, ma di lingua parlata che sia propriamente italiana; vuole la comedia prima della nazione; intende il linguaggio, non come una cute che sia il portato dell’intiero organismo della vita nazionale, ma come una nuova manica da infilare (modo veneto questo, per avventura, e io non avrei diritto di chiederne venia). L’ideale del classicismo di certo non si attagliava al concetto della vera unità nazionale; ma a questo non ripugna meno, od anzi gli ripugna ben di più, il nuovo ideale del popólanesimo, a cagione del principio idolatrico a cui si è venuto informando. E se è vero, come anzi ci mostrano di continuo, che nelle regioni dell’Arte corra un legame, più ancora stretto che non sia altrove, fra il pensiero e la forma, l’arte medesima non avrà forse gran fatto a rallegrarsi di questa infinita brama di fiorellini, placidamente raccolti sulYajmla nativa, che ora vorrebbe dire l’unica ajuola fiorentina. Non mai, per avventura, l’Arte si sarebbe messa in maggiore antitesi con quella virile civiltà a cui pur l’Italia virilmente aspira; nè mai si sarebbe più fatalmente scambiato, sotto le apparenze di serbar puro il carattere nazionale, quel di poetico o di terso che la lunga immobilità dei secoli può conferirci, col genuino e sempre nuovo suggello che i popoli robusti imprimono e nella sostanza e nella forma di quella