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XVI PROEMIO.

vita della lingua, nella quale la proposta individuale, la creazione, la disumazione, l’adesione, il rifiuto, la riforma, la diffusione, l’uso? sono avvenimenti od effetti incessanti, pei quali si continua o si riproduce, in nobilissima sfera, il medesimo processo di consenso creativo, onde pur surge e si assoda e si trasforma un vernacolo qualunque. Se nessun’altra nazione fabbrica tanti dizionarj di ogni lingua quanti ne produce la Germania, in nessun paese, all’incontro, gli scrittori sentono minor bisogno di ricorrere al lessico per apprendervi la lingua della propria nazione. Viva nella più ampia e viva di tutte le culture-, si ravviva quella lingua nel focolare della eulta famiglia, che ormai non ha favella diversa da quella dei libri; e non c’è bisogno di dimenticare i difetti inerenti a codesta razza, o a codesto linguaggio, per conchiudere, che l’energia, onde prorompe la unità intellettuale dei Tedeschi, ha ormai per suo portato una parola, la quale è l’effetto e lo stromento di tal facoltà collettiva di pensiero e di lavoro, cui l’uman&à non aveva peranco raggiunto.

Che sarebbe avvenuto, in ordine alla parola italiana, se l’Italia si fosse potuta mettere, molto più risolutamente che pur non abbia fatto, per una via non disforme da quella che la Germania ha percorso? Roma, per la sua originaria attiguità dialettale con quella regione a cui la parola italiana va debitrice di ogni suo splendore, e per esservi continuato, mercè la Santa Sede, un moto energico, in molta e quasi inavvertita parte e come suo malgrado italiano; ’ Roma, nella favella spontanea di quanti suoi figli non rimangano affatto rozzi, ci porge l’imagine o i contorni di una lingua nazionale, e meritava, anche per questo capo, ridiventare principe dell’Italia intiera. Ned è necessario avvertire, che il grado di magistero, raggiunto da molti autori toscani e non toscani, antichi e moderni, sia per la lingua e sia per lo stile, e sempre in ordine al concetto della vfera unità nazionale, appare ben diverso all’umile scrittore di queste pagine da quello che ai fiorentinisti non debba parere. Ma la nostra interrogazione fa parte naturale d’un colloquio imaginario che si tenga con questi, e versa intorno all’ipotesi di un processo di fusione intellettuale, e quindi idiomatica e civile,