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malato, accompagnato da una cantilena della Bassa, in cui urtavano i ruvidi colpi della culla sballottata fuor di tempo.

Al piangere del piccino mescolavansi altre voci di ragazze e di donne, insieme al cigolìo dei secchi, al rotolare delle carriole che rientravano cariche d’erba, nell’ombra sempre crescente del casolare, in cui serpeggiava quasi un senso di paura.

Rimasero tutt’e due un lungo tratto in silenzio, occupati, smarriti nella grande quantità di pensieri, che passarono in mezzo tra l’uno e l’altra, che se avessero avuto figura, si sarebbero visti intrecciarsi, cercarsi e sfuggirsi agitati da una stessa passione.

Il benefattore non voleva sacrifici, ma perchè aveva aperta la questione? La speranza è sempre in ciò che non si ha, e molte volte in ciò che non si vuole. Questo buon uomo, che aspettava una parola di vita o di morte, aveva strappata una povera vedova con tre figliuoli dalla disperazione e dalla miseria e aveva procurato a una fanciulla, senza padre e senza protezione, i mezzi d’educarsi, d’essere qualche cosa, togliendola ai cento pericoli che circondano un’orfanella povera e abbandonata.

Quel Dio, a cui Arabella era disposta a sacrificare la sua giovinezza e la sua vita in espiazione, chi sa?, parlava forse per la bocca medesima di un uomo onesto e virtuoso, del quale s’era servito per operare i prodigi della sua bontà e della sua carità.

Arabella sentì subito in quel primo e improvviso conflitto di sensazioni e di pensieri che non basta essere santi a questo mondo, cioè comprese che è impossibile diventarlo, se non si comincia coll’essere pietosi e buoni. Non volendo mostrarsi arida