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presenza di mamma Beatrice si sforzava d’inghiottire in stranguglioni grossi e duri come noci.
Arabella l’ascoltò con attenzione, con pietà, con una commozione sincera e profonda, lontana le mille miglia dall’immaginare dove sarebbe andato a finire un discorso così patetico, che somigliava troppo a cento altri, perchè ella vi potesse supporre qualche cosa di nuovo. Cercò di mettere qua e là una di quelle parole che hanno bisogno d’una gran fede nella provvidenza per far bene; ma papà Botta pareva disperare anche della Provvidenza. Da tre domeniche non si lasciava vedere a messa. La sua vita e la sua morte erano nelle mani del sor Tognino.
Questo nome di sor Tognino, insieme all’altro di ipoteca, più di cento volte era tornato nei discorsi di papà Botta, come quello di un genio cattivo della sua casa.
— Mi dica, papà — chiese con un moto di lenta curiosità — questo sor Tognino non è quello stesso che ha fatto la causa di turbato possesso?
— Lui, precisamente. È un uomo forte, pieno di denari, che mi può fare del male e anche del bene.
— Come c’entra ancora?
— C’entra perchè io non l’ho pagato... cioè l’ho pagato parte con delle cambiali, parte con delle ipoteche.
— Se io potessi capire queste benedette parole...
— Bisogna però esser giusti anche con lui e riconoscere che mi usò sempre della cortesia. Volle mostrarsi forte nel suo diritto, ma non posso dire che abbia abusato della sua forza. La gente vista da vicino alle volte è migliore di quel che sembra da