Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 75 — |
che sfuggiva alle stesse pieghe larghe e goffe della divisa bigia di collegio. I suoi capelli d’un biondo chiaro, l’ambizione del povero babbo, eran cresciuti e cascavano in due lunghe treccie, che le buone madri cercavano d’allacciare e di nascondere.
Alle Cascine Boazze la fanciulla non passava che pochi giorni delle vacanze, in settembre, sforzandosi per un sentimento di riconoscenza e di delicatezza di farseli piacere quei prati lunghi e piani, quelle righe lunghe di salici smorti, che si accompagnano ai fossati, quei casolari tozzi sepolti nel fango o nella polvere delle strade calde. Il suo pensiero tornava sempre lassù a Cremenno, la sua patria spirituale, Cremenno che suor Maria Cherubina chiamava l’anticamera del paradiso, lassù dove l’occhio scende nei burroni e nelle valli fiorenti, e corre sugli specchi azzurri del lago Maggiore, dove infine un’anima agile e pia ha meno strada per toccare il cielo. A lei il secondo matrimonio della mamma non era piaciuto fin dal principio. Ma poichè era dovere d’accettare i fatti compiuti, si era proposto fin dai primi tempi di fare in modo che la sua vita non andasse a pesar troppo sulle spalle del padrigno. Già le pareva di aver troppo accettato; e poichè le suore eran contente di lei e le facevano la corte, non tardò a formulare il pensiero deciso della sua vocazione. Si sentiva naturalmente attirata a entrare nella famiglia delle sue maestre, a consacrare la sua esistenza all’istruzione nei collegi dell’ordine. Aiutava questa vocazione la vista del disordine crescente che ritrovava alle Cascine, una casa che reggevasi a forza di puntelli sopra un più nascosto e più profondo disordine amministrativo.
Come avesse potuto il signor Botta in pochi anni