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nei momenti che le sue mani preziose non rammendavano il pizzo. La Colomba prima di uscire la mattina per andare al Monte, preparava il riso e il lardo e il pentolino all’altezza della nanina, che pensava ad accendere il fuoco e a mettere la minestra in tavola per l’ora che la sorella e Ferruccio tornavano pieni di fame e di freddo.
— Tu hai tardato più del solito stasera e anche Ferruccio non è ancora tornato. Cominciavo a pensar male. Vedi il sor Galimberti?
— Cara madonna, non l’avevo visto, sor Galimberti: son così stanca — disse la Colomba, lasciandosi cadere sopra una sedia.
— Come va la nostra Colomba? — chiese colla solita tenera tranquillità e pazienza il delegato, che stava sorbendo una tazza di caffè. — La nostra Nunziadina ha voluto favorirmi una goccia del nèttare degli dèi, e io stavo dicendo che in Milano non ci siete che voi che sapete fare un caffè buono. Dopo che hanno inventato tante macchinette e filtri e diavolerie, non c’è più quell’aroma che si sentiva ai nostri tempi: non è vero Colomba?
— Noi andiamo all’antica: lo facciamo nel bricco, rimestandolo con un legnetto.
— Sarà effetto del legnetto allora — soggiunse il delegato con un riso grasso in fondo alla gola — ma un caffè come il vostro non lo si beve nemmeno al Cova. Quando sarò in punto di morte vi farò avvertire, perchè io credo che questo aiuti a salvar l’anima.
— Lei vien giovane e grasso tutti i giorni e parla di morire. Lei non ha fastidi — disse la Colomba, inginocchiandosi sulla pietra del camino per ravvivare il fuoco sotto la pentola.