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— Saprete almeno dire se il vostro padrone è un galantuomo e se quel che dicono di lui sono bugie?
— Io? — tornò a domandare il Berretta, indicandosi colle grosse cesoie. — Io faccio il sarto.
— Sapete almeno quel che vi costa l’acquavite che bevete in un giorno e che vi rende stordito come un’oca? — proruppe la Colomba alzandosi, colle fiamme ai pomelli del viso, fiutando nell’aria il puzzo di cui era impregnato lo stanzino. — Io sono venuta per il bene di Ferruccio e non per sapere gli affari degli altri, e molto meno i vostri. Voi fate il sarto e io compero la roba al Monte: state allegro e diverrete grasso, Berretta. — E se ne andò dopo aver infilato l’un dopo l’altro i due fagotti nello stretto passaggio dell’invetriata.
Il Berretta buttò le cesoie sul tavolo con grande fracasso, soffiando forte di dispetto e di disperazione. Che venivano a rompere la testa a lui? potevano battere un morto con più profitto. Quando un uomo è sull’orlo d’essere impiccato, è giusto a lui che si deve far la questione di che filo è fatta la corda. Lui non conosceva nessuno, nè Aquilino, nè Pasqualino, nè Maddalena, nè Bartolomeo; lui faceva il sarto. Chi sa dire fin dove un uomo è galantuomo e fin dove è briccone? ma quando il sor Tognino avesse dato corso alla denuncia, non c’era più un cane in Milano che avrebbe potuto salvare un povero tristo dal cellulare. A quest’idea il povero Berretta rabbrividiva fin nel fondo degli ossi e non era che per cacciar quel freddo dalla midolla che, non avendo più vino, raccomandavasi all’acquavite.