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— Io non voglio, il mio bene, importi la mia volontà. Tu hai raggiunta l’età del giudizio e sai distinguere da te quel che va fatto. Hai studiato anche il latino, sicchè, figuriamoci! Ciò che importa a questo mondo è di non perdere il timor di Dio. Anche di camicie stai male, ma spero rilevarne una mezza dozzina al Monte al prezzo di quattro lire l’una, se quel della tromba manterrà la parola. Son belle camicie nuove, di tela forestiera, che forse hanno appartenuto a qualche conte sbagliato. Son forse un po’ larghe, ma tu pensa a ingrassare anima mia... E quella chi è?

L’improvvisa domanda fu accompagnata da un gesto verso una ragazza che scendeva la scala (di cui vedevasi un gomito dalla finestra) facendo cantare un secchiello di rame.

— È la cameriera della signora.

— Come si chiama?

— Augusta.

— È un bel nome, ma ha certi occhi! Non sarebbe meglio che tu voltassi le spalle alla finestra, quando scrivi?

— Non ci si vede, cara zia — rispose Ferruccio, ridendo con sicurezza, come chi ha l’animo tranquillo.

— Tu che hai studiato il latino sai come si dice: Oculos porta peccatorum. — La vecchietta allegra e rubizza rideva ancora a sentirsi in bocca il latino, quando l’uscio si aprì bel bello ed entrarono Aquilino Ratta, il vice ricevitore del lotto, Salvatore Boffa, il fonditore di caratteri e l’Angiolina ortolana, venuti in deputazione per parlare al signor Tognino, loro mezzo parente, sull’argomento del testamento Ratta.