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quale... per il quale... Don Giosuè, scrollando il tabarro in furia, brontolò qualche cosa in fondo al bavero, e cambiò posto. Fu avvicinato da questa parte da Salvatore Boffa, il fonditore di caratteri di stampa (l’uomo dalla ganascia fasciata), che, soffiando le parole come gli permetteva la flussione, toccò ancora il tasto del testamento. Don Giosuè alzò gli occhi al cielo e parve sprofondare nel bavero come in una botola.
Nell’angusto passo della portineria la Santina, la donna di servizio che il sor Tognino aveva messo rabbiosamente alla porta, si profondeva in lagrime avvolta in uno scialle nero che le dava l’aspetto di una sanguisuga.
Con tanta ressa di gente che ingombrava la scala e il portico la povera vecchia Ratta stentò a farsi strada, quando la portarono abbasso nel suo ultimo vestito di legno bianco. Intanto la processione dei preti e dei chierici colla croce, preso in mezzo Lorenzo Maccagno, lo trascinò, rimorchiandolo fin presso le ruote del carro, tenendolo imprigionato in un cerchio di candele accese. I preti cominciarono a brontolare orazioni. Lorenzo, chiuso in mezzo dalle cotte, cercò di salvare il cappello nuovo dalle sgocciolature, e se ne servì come di scudo per difendersi dagli occhi maliziosi della zia Sidonia, che rideva dietro le spalle massiccie del cavalier marito. Nell’andar via cogli occhi da quella tentazione, ne incontrò un’altra, a una finestra del secondo piano, dove la bella Olimpia ancora spettinata, stava spiando nello spiraglio tra due gelosie.
Il brontolamento dei preti rimescolò subito le viscere del cav. Borrola, libero pensatore e framasson padovan, che non potè trattener anche lui il suo