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VI.
La morte è buona.
Uscì sospinta da una forza maggiore della sua volontà, nella fiducia che l’aria aperta avrebbe dissipata la fiamma, che divoravale la testa.
Il tempo, che per chi soffre è il miglior elemento della vita, senza ch’ella se ne avvedesse, era volato durante quella giornata piovigginosa nelle varie corse attraverso alla città; talchè, quando scese le scale, eran quasi le quattro.
Passò di nuovo in mezzo alla gente col passo rotto di chi non sa dove va, col cuore in tempesta, colla mente intorbidita da una violenta emozione, cacciata avanti dal pensiero che qualcuno l’aspettava alla stazione del tram di Lodi, e che alle Cascine, da dove era partita così improvvisamente, dovevano essere inquieti di non vederla ritornare. La mamma aveva preparata una dolce congiura, e domani, anzi stasera, essa doveva essere là al suo posto, ad una festa di perdono e di conciliazione. Il suo dovere era là: tutto il resto non era che passione inutile.
Questa idea a poco a poco divenne così netta e precisa, in mezzo alle mille altre che l’assalivano, che come una fiamma accesa in fondo a una landa