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cosa subito fatta, quando Arabella suggerisse una parolina all’avvocato.

Essa rispose tre volte di sì senza afferrare una sola parola di tutto questo grande discorso. Lo zio Mauro si offrì di presentarla all’arcivescovo, un venerando prelato che... ma Arabella gli troncò le parole in bocca per raccontargli il caso di Ferruccio. Bisognava fare in modo che quel povero ragazzo potesse lasciare il paese. Era un dovere di tutti i parenti di proteggere un giovine onesto, che scontava le conseguenze di colpe non sue. Ai mezzi avrebbe provveduto essa stessa, ma bisognava indirizzarlo...

— È il caso nostro — esclamò lo zio Borrola — Vado subito a parlarne all’amico Vicentelli, che sta per inviare in America tutto il materiale della Forza del destino. Se siamo ancora in tempo, non saprei trovare una più bella occasione per un giovine che vuol cambiar aria e tentare la sua fortuna.

Anche la zia Sidonia prese vivo interesse a questo caso doloroso, in cui vedeva coll’anima dell’artista un non so che di drammatico e di avventuroso. La ribellione all’autorità, costituita già nell’indole sua, era cresciuta il giorno che a Parigi alcuni gardiens de la paix avevano battuto e maltrattato un caro suo cagnolino terrier, mentre l’imperatrice Eugenia passava in carrozza sulla piazza Vendôme.

Arabella uscì collo zio Mauro, e non si dette riposo, finchè non ebbe parlato col signor Vicentelli. C’era ancora l’occasione, ma non bisognava perder tempo. Il piroscafo doveva lasciar Genova ai quindici del mese e bisognava trovarsi sul posto qualche giorno prima. Il giovine avrebbe viaggiato col direttore della compagnia, uomo pratico, che aveva fatto più volte