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un rimedio contro la sua disgrazia, ed è di prendere il servizio con quel coraggio affaccendato e irragionevole, che da un coscritto cava spesso un eroe.

Ritrovava dei momenti di intero riposo e di smemoratezza quando poteva, come una volta, rinchiudersi a disegnare e a ricamare nella fresca chiesuola della Colorina. Vi si rifugiava colla foga della bimba, che ha portato via e nascosta in tasca una piccola merenda, o una ghiottoneria dolce, che vuol gustare e assaporare un pezzo, da sola, senz’essere vista. Vi si rifugiava meno a pregare che a sentire la sua vita scorrere lentamente, in attesa di qualche cosa di chiaro, che tardava ad accendersi in lei e senza di cui sarebbe stato troppo pericoloso continuare per una strada buia.

Essa poteva perdonare e dimenticare; ma non basta. Per vivere bisogna amare. Ora il pensiero che tra quindici o venti giorni essa avrebbe dovuto cader nel dominio del suo vecchio padrone, non era per lei così semplice e giocondo come pareva alla mamma. Qualche cosa della vecchia monachella soffriva ancora nel suo spirito. Nei suoi lunghi e pensosi silenzi, mentre la mano copiava un gruppo d’alberi o un pezzo di casa in rovina, la voce della monachella sorgeva a predicare, non tanto a lei, per cui le parole erano inutili, quanto a tutte le buone ragazze, che si affidano alla vita colla lieta poesia dei diciott’anni: «Non credete alle lusinghe della vita: fatevi monache. Il mondo, sotto uno strato di rose, vi prepara dei dolorosi letti di spine: fatevi monache. E se Dio vi chiama a sè prima del tempo, benedite il Signore che vi vuol bene. Meglio morte a quindici anni sotto una coperta d’erba fresca e di fiori di