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cettarenemmeno questa parte dell’eredità, se non avesse stesa la mano a Lorenzo, che da quindici giorni aspettava una parola di perdono. Suo suocero l’aveva beneficata per rimunerarla d’essere tornata in casa. I benefici fatti alla famiglia Botta dal defunto (benefici che Lorenzo irritato poteva trasformare in altrettanti crediti) presupponevano un buon accordo fra i coniugi. Il non accettare la pace con suo marito, dopo essere tornata in casa, quando questa era voluta e desiderata da tutti e in essa soltanto era il bene di tutti, sarebbe stata per parte sua una condotta illogica e crudele. E Dio non l’aveva fatta crudele, se anche la sua testa stentava a capire e a ragionare.

Ora invocava un po’ di quiete. La lasciassero stare. Facessero e disponessero pure degli interessi suoi come meglio credevano, ma per carità concedessero al suo cervello e al suo spirito il tempo di raccogliersi. E a poco a poco andava abituandosi a quel dolce far niente. Dalla finestra della sua cameretta di fanciulla stava volentieri collo sguardo ozioso a contemplare la stesa verde dei prati, riscaldati dal sole di maggio, il tremolare allegro che fanno le frasche dei pioppi scossi dall’aria, il rimescolarsi veloce delle rondini sul far della sera intorno alla bruna guglia dell’abbazia, o colle mani inerti sopra un lavoruccio, o colle mani morte in grembo, come una persona che aspetta un avviso per riprendere di nuovo un viaggio non lieto per un paese lontano, che si rivede mal volentieri.

— Tu hai ben diritto di riposare, — le diceva qualche volta la mamma, che meglio di lei era in grado di giudicare del valore delle cose, — basta per