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— Ferruccio, come sta? meglio?
— Sissignora, sto bene.
— È pallidino ancora...
— Sono venuto a ringraziarla.
— Suo padre?
— Son venuto anche a nome suo...
— Dimentichiamo...
— Oh! ne abbiamo bisogno...
— Pensi a guarir bene e si lasci veder presto alle Cascine.
— Lei parte...
— È necessario: ho troppo bisogno di riposare. Venga e parleremo di questi interessi.
— Verrò, sissignora.
— Lei non ci abbandonerà... — disse, stendendogli lentamente la mano.
— Oh no!... se lei comanda...
— Dobbiamo far del bene insieme.
Egli non potè più cucire due sillabe.
— Saluti la buona zia Colomba: verrò presto a ringraziarla.
E serrando la mano del giovine nella sua, seguì papà Paolino, che aspettava presso una vettura.
Ferruccio stette appoggiato al muro, cogli occhi incantati sulla carrozza, che si allontanava e si impiccioliva in mezzo al via vai e al frastuono della città. Sognava ancora, a occhi aperti.