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eredità. La farina del diavolo... — Ma si affrettò a suscitare contro le insidiose suggestioni dell’orgoglio e dell’interesse mondano un senso cristiano di carità e di mansuetudine, che non mancava nell’animo del vecchio prete burbero e arruffato, ma ci stava come un vecchio orologio guasto, che da quarant’anni non segnava le ore.
Si accostò al letto, provò a prendere e a stringere la mano dell’infermo: si chinò sul cuscino, e ammorbidendo la voce a un tono di tenerezza, a un belato di vecchia pecora, che a lui stesso parve una canzonatura, provò a chiamare:
— Sor Tognino...
Il malato aprì stentatamente gli occhi, li tenne fissi un pezzo col barlume confuso del moribondo nella faccia rugosa e intrigata del canonico, diè segno di ravvisare e di capire: e li richiuse con una languida espressione di dolore e d’impotenza. La lingua ingrossata non potè articolare sillaba.
Anche il prete nel mezzo minuto che stette a guardare negli occhi il suo dannato avversario, sentì qualche cosa d’insolito muoversi di dentro, sotto il peso dei giudizi fatti: e il malinconico paragone della trappola tornò a balenargli nella fantasia. Il vecchio orologio guasto mandò dei rantoli.
— Il caso è grave, senza dubbio... — disse nell’uscire ai parenti che lo circondarono.
— È necessario ch’egli metta in ordine i suoi interessi — tornò a insistere il cav. Borrola.
— Sicuro, tutti più o meno ci siamo implicati — entrò a dire il Botola, che proprio quella mattina, facendo uso della carta bianca concessagli dal Maccagno, aveva anticipato dei denari a Olimpia.