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nimo suo un senso quasi di stupore, da qual parte fosse il maggior dolore e a chi tra lor due toccasse d’aver più carità e più compassione. Un occhio malato stenta a vedere il male degli altri.

La ragione umana, che per giustificare i nostri patimenti ha bisogno di cercare un tiranno ed è quasi sempre fortunata di trovarne o d’inventarne uno che basta, si turba e non osa credere quando vede le vittime farsi male tra loro.

Arabella innanzi alle sofferenze e alle lagrime di un uomo che la fortuna aveva abituato a vincere, si domandò, confusamente e rapidamente (come sono tutti i colloqui che facciamo con noi stessi), se per caso essa non aveva abusato della sua debolezza. La puntura velenosa d’un’ape moribonda può uccidere un leone. Forse aveva detto delle inutili asprezze a suo suocero, che verso di lei si era mostrato sempre buono e amoroso. Forse aveva ragione la povera mamma. Essa non vedeva che sè...

Al venir meno dell’orgoglio, che l’aveva sostenuta in questa fiera battaglia, si spaventò a un tratto come un assalito che nel furore della mischia si trova di aver oltrepassato i limiti della difesa e d’aver infierito crudelmente e inutilmente su degli innocenti. Sentì che ora toccava a lei dir qualche cosa di meno amaro, di condurre il discorso a una buona conclusione. Dal momento che aveva accettato di tornare in casa, non doveva starvi rinchiusa come una fiera irritata; oh Dio!... essa non aveva il cuore di una fiera. Chi l’aveva resa superba e cattiva?

— Se le pare che la campagna possa far bene a tutti — prese a dire sottovoce — dal momento che ho accettato di rientrare in questa casa... gli obblighi

E. De Marchi - Arabella. 24