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capelli, come se mostrasse di raccomodarli sulla fronte, e, vincendo una mortale debolezza, mormorò con voce d’uomo che parla in sogno:
— Lei non deve parlare così, Arabella; noi le vogliamo bene.
Arabella mosse il capo con due piccole scosse di ribellione, che parvero dire: — Grazie del vostro bene...
Il vecchio intese il significato di quella mossa, e scendendo colla stessa mano a stringere una mano di lei, gliela posò sul tavolino, tenendola sepolta e stretta nella sua, mentre la sua testa piccina e espressiva s’infiammava d’una vampa improvvisa. — Sì, le vogliamo bene... È forse una brutta maniera di voler bene, e lei meritava meglio; ma può dire che abbiamo operato con cattive intenzioni? Io non difendo Lorenzo, e anch’io mi sento molto colpevole; ma si guardi intorno e dica se chi pensò a prepararle questa casa merita veramente il titolo di avaro, di affarista, di speculatore, di ladro, di svergognato che tutti gli dànno. Ne’ miei affari la prima regola è l’aritmetica: è naturale. Ma può mia nuora, scusi, può la famiglia Botta dimostrare che io ho fatto i conti sempre a mio vantaggio? Se io fossi proprio quell’usuraio che dicono, il signor Paolino non avrebbe scritto otto giorni fa una lettera in cui mi pregava di un soccorso: e l’ho fatto volentieri. Anzi voglio che essa abbia la prova che non invento... — Così dicendo levò il grosso portafogli da cui trasse alcune carte.
— Lo so, lo so — si affrettò a dire Arabella, socchiudendo gli occhi.
— No, no, lei deve vedere e toccare con mano — insistette lui, mettendo sul tavolino delle lettere e