Pagina:Arabella.djvu/360


— 354 —

— disse Lorenzo con accento d’uomo che parla sul serio. — Ripeto che di questo stato di cose sono io responsabile; ma, amen, non se ne parli più. Solo mi permetto di proporre al mio signor padre una piccola condizione...

Lorenzo non aveva in vita sua pronunciato quattro parole più gravi e solenni; al punto che il vecchio Maccagno sollevò la faccia e rimase in curiosità di quel che il sapientone stava per dirgli. Anche il Botola rimase lì colla sua faccia di bertuccia incantata.

— Una piccola condizione che ho quasi il diritto di imporre... — seguitò il giovane Maccagno, in preda a un convulso, che gli faceva battere il bastoncino sulla punta della scarpa. — Desidero, cioè, che mia moglie venga con me e stia con me; voglio, cioè, essere io il padrone... comandar io in casa mia, visto che il marito sono io.

Da infiammata la faccia del vecchio Maccagno si fece livida. L’occhio si impicciolì a un’espressione di gatto selvatico, il corpo si curvò sui ginocchi, le mani si strinsero in due pugni nervosi, uno dei quali si sollevò lentamente e ricadde come un maglio pesante sul ginocchio. Voleva gridare: — Tu? tu metti alla porta tuo padre? — ma non gli venne fuori che un mugghio d’uomo strozzato.

— Sissignori, voglio così!... — ripetè Lorenzo, alzandosi con un visibile sforzo e piantandosi ritto davanti a suo padre, colle braccia sul petto, come Napoleone, soffiando la sua straordinaria emozione, che sollevava e scompaginava la pigra e sonnolenta volontà. Anche il vecchio si alzò, fe’ un giro intorno alla sedia, vi si appoggiò, e sogghignando colla bocca umida di saliva: — Tu vuoi mettere alla porta tuo