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lare un coso di bronzo, ch’era sulla tavola, e ne trasse un suono fesso che si accompagnò al suo ridere che aveva pure del fesso. Sedette in mezzo ai due Maccagni e stirandosi le mani, voltosi a Lorenzo:
— Dunque — soggiunse — dicevo poco fa a tuo padre che tu sei pentito e dolentissimo di ciò che è accaduto ieri sera; che pur di aggiustare la cosa senza scandali, pur di far pace con tua moglie, sei disposto a promettere e a giurare...
— Che suo padre è un ladro...! — interruppe fieramente il babbo, come se si svegliasse bruscamente da un lungo letargo; e alzò il suo dito magro e lungo con cui era solito infilzare uomini e cose. — Che cosa non è pronto a giurare quest’imbecille mangiapane?
— Adesso tu stammi zitto e lascia parlare a me. Siamo uomini o donne? — Così il Botola con una certa furia; e voltosi a Lorenzo, seguitò: — Intanto abbiamo buone notizie della signora Arabella. È venuta a Milano sua madre e tutti siamo interessati a mettere acqua sul fuoco; acqua, acqua, Tognino, e non olio.
— Benissimo! — disse Lorenzo, arrossendo come un ragazzo scapestrato, ma non cattivo, che sente ricordare il nome della mamma morta.
— Bravo, ma non basta dir benissimo, sor Lorenzo riverito: — soggiunse il Botola col piglio amoroso e severo d’un buon zio interessato. — Tu devi dimostrare col fatto a questo uomo qui, e a tua moglie, che sei veramente un uomo, non una banderuola. Hai la fortuna di possedere una donnetta bella, graziosa, educata, un rosino da far gola al principe Triulzio e vai a perderti come una bestia con Olim-