Pagina:Arabella.djvu/344


— 338 —

migliorato nulla, il fango è rimasto fango, anzi il fango è cresciuto intorno a me e invece d’amore, vedi, non ho raccolto che oltraggi, odio, tradimento. No, Maria, no: non ne posso più. Non ho più forza per resistere all’onda di questi mali. Se finora ho vissuto inutilmente per gli altri, è tempo ch’io cominci a vivere non inutilmente per me, perchè (e Arabella nel dir queste parole alzò il capo con qualche fierezza) con questo veleno nel cuore io non posso piacere a Dio e non è con questa disperazione, che mi soffoca anima e respiro, ch’io potrò meritarmi il suo perdono. Se io resto ancora un giorno nella compagnia di questa gente, la disperazione, Maria, potrebbe montare dal cuore alla testa e allora c’è la pazzia, mia cara, c’è qualche cosa di peggio...

La figlia del povero Cesarino Pianelli si attaccò con una forza nervosa al braccio dell’amica, come per sostenersi contro un pericolo nei dibattiti convulsi del suo dolore. Chinò la testa: da accesa divenne di nuovo pallidissima e mormorò come se parlasse a se stessa:

— Non ho mai compatito tanto il mio povero papà come in questi giorni...

— O Madonna, tu le perdona perchè non sa quel che dice... — interruppe vivamente la buona e devota Maria, coprendo colle braccia il bambino, perchè non sentisse le brutte parole.

— Provassi! ci son dei momenti in cui pare così necessario e così bello il morire...

— Tu sei malata, la mia figliuola — gridò la povera Maria: — tu non pensi, tu non le senti le cose che dici. Scriverò subito a mia sorella, se ciò può farti un po’ di bene.