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seria. Si arrabbiava dentro di sè all’idea che Arabella avesse scoperto l’intrigo prima per il dispiacere che essa ne doveva sentire e poi per la serie di pasticci che ne dovevano derivare. Le donne non ammettono certe distinzioni, ma se egli avesse potuto persuaderla avrebbe parlato presso a poco così: — Senti, Ara bell’Ara, tu sei sempre mia moglie, io ti voglio bene; io anzi son superbo di te, e mi dispiace che tu possa essere gelosa di una cantante d’operette. Il cuore non c’entra. Tu sei stata così malata in questi mesi... — Ma capì che era tempo perso a seguitare su questa via, perchè nè egli avrebbe fatto un tal discorso a sua moglie nè Arabella avrebbe avuta la pazienza di ascoltarlo.

Come mai costei aveva trovato il coraggio di far quel che aveva fatto? Dunque non c’era in lei soltanto la devota cristiana e la madre della rassegnazione, ma anche un diavolo geloso che menava le mani maledettamente. Va a capire le donne! ti si cambiano nelle mani come le carte di prestigio. La donna di fiori ti diventa la donna di picche e viceversa. Il bello si è che, paragonando Olimpia, l’Olimpia dagli occhi pitturati e dalle carni floscie, a questa donnina nervosa, a questa bionda dagli occhi intelligenti che col suo bel tocco d’astrakan in testa si apposta dietro un uscio, sbuca fuori e batte senza parlare una sciocca rivale — confrontando le due donne come donne — il bello si è, che egli veniva a poco a poco a innamorarsi di sua moglie. E di nuovo tornava nel pensiero di prima: che Arabella non avrebbe mai saputo nulla, se non ci fosse stato di mezzo l’interessato a metter male, a seminare la zizzania tra marito e moglie, per raggiungere chi sa quali sue idee.