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vinotti scapestrati credete di far dello spirito con questo vostro ammazzarsi, che lascia i creditori negli impicci. Il vero spirito...
— È quello che si froda al dazio... — fu pronto a ribattere con lieta soddisfazione Lorenzo, che tratto tratto aveva lampi d’ingegno.
L’acqua che gorgogliava nel canale richiamò per un istante l’attenzione dei due amici sul tempaccio, che infieriva di fuori.
— Dove intendi di andare con questo tempo? — chiese il padrone di casa.
— Sono uscito coll’intenzione di accompagnare Olimpia a teatro e l’abbiamo fatto noi il teatro. Ora è troppo tardi per chiedere ospitalità alla mia buona zia Sidonia, che sta fin laggiù nei Fiori. E poi dovrei dare delle spiegazioni che mi seccano.
— Ci va molta gente in casa di questi tuoi parenti?
— Da un pezzo non ci vado più.
— È vero che tuo zio Borrola vince... troppo?
— Che vuoi ch’io sappia? tu credi a tutte le voci.
— Ho sentito anche il marchesino di Brienne lamentarsi di questa faccenda. Un padrone di casa deve saper perdere qualche volta, se non altro, per cortesia. Del resto son cose difficili a giudicare e ognuno è padrone di far quello che vuole in casa sua. Così io intendo la libertà, la libertà vera, non quella che gridavano gli italianoni nel quarantotto.
— Senti la casa del diavolo! — esclamò Lorenzo a un colpo tremendo di tuono, che scosse la casa e i vetri.
— Se tu vuoi restare nella povera casa d’un vecchio amico, io posso offrirti questo divano e una co-