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Dopo il suo matrimonio, Lorenzo non si era lasciato più vedere dal vecchio pignoratario, e ciò spiega la meraviglia che il compare mostrò nel trovarselo davanti a quell’ora, con quel brutto tempo, con quell’aria malinconica.
— E dunque? è in casa dalla tua cara zietta che hai perdute queste duecento lire?
— Che duecento lire? chi ti ha detto che ho perduto?
— Me lo dicono i tuoi occhi di pollo morto. Son forse cinquecento? Io ti credevo canonizzato per santo, lo giuro. Arrivi in un cattivo momento, anima mia, se pensi che io possa aiutarti. Non è nè bello nè morale che un uomo tradisca il suo miglior amico, guastandogli il migliore de’ suoi figli.
— Se mi lasci parlare...
— Sì, parla, parla.
Lorenzo in quattro parole mise a parte il miglior amico di suo padre di ciò che era accaduto in Carrobbio e concluse:
— Olimpia è in collera e mi ha cacciato via, ma di lei non me ne importa. Penso invece che a casa non posso andare: le sfuriate non mi piacciono e tu sai che egli va presto fuori dei gangheri. Mi dispiace per Arabella... Se tu potessi aiutarmi...
— Come posso aiutarti?
— Cercando di placare Olimpia, che ha per te un po’ di deferenza. Ella sa che tu mi hai fatto del bene molte volte e che puoi far del bene anche a lei in una circostanza...
Lorenzo stette a osservare l’effetto che queste parole facevano sul vecchio pignoratario e gli parve di scorgere in fondo agli occhietti bigi e furbi un raggio di tenera compiacenza. Quindi soggiunse: