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spessi e taglienti come lame, e in tuoni continui, ringhiosi, brontoloni.

La stazione e i vagoni non erano ancora rischiarati, perchè l’amministrazione non tien conto dei temporali. Ci si vedeva sì e no, più coll’aiuto dei lampi che, sto per dire, con quello degli occhi.

Mentre il nostro viaggiatore stava appoggiato allo sportello, intento a strologare la tettoia di vetro che mandava bagliori e fosforescenze a ogni guizzo, un reverendo sacerdote, per quanto si poteva vedere, entrò dall’altra parte nel vagone e si rincantucciò in un angolo.

— Che demonio di temporale! — esclamò il reverendo, che ansava ancora per la corsa fatta, mostrando la voglia d’avere un compagno in quel breve viaggio al buio.

— Eppure io credo che va a finire in nulla... Oggi è stata una giornata calda: son lampi di caldo...

Prima che il treno si rimettesse in moto, anche un giovane e svelto ufficiale di cavalleria saltò nel vagone e sedette in mezzo ai due viaggiatori, che occupavano i due angoli obliquamente opposti.

L’ufficiale chiese il permesso di fumare.

— Faccia pure — dissero insieme le due voci.

L’ufficiale accese uno zolfanello di cera e lo tenne vivo il tempo d’accendere un sigaro, rischiarando il vagone, mentre il convoglio, alquanto in ritardo, ripigliava la sua corsa.

Ciò permise al signor Tognino di riconoscere nel reverendo, seduto nell’angolo, la cara e simpatica persona di don Giosuè Pianelli, e a costui nel suo compagno di viaggio quel bel gioiello di sor Tognino.

Per fortuna di tutti e due il buio del vagone li