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blico ch’egli è un uomo onesto e delicato. Noi non potremo negare l’esistenza d’un atto che nomina unico erede d’una sostanza di quattrocentomila lire un cugino quasi ignoto fino a ieri alla stessa testatrice; ma noi — e quando dico noi intendo tutti voi — obbligheremo l’abile signor Maccagno a dimostrare che coercizione morale non ci fu, quando si videro allontanati dalla casa della ricca benefattrice i più vecchi e fedeli amici, che da quindici, venti, venticinque anni l’avevano assistita col consiglio disinteressato e prudente; quando si videro da lei, piissima credente, respinti gli stessi sacerdoti a cui aveva chiesto più volte il conforto dei beni spirituali; quando si vide allontanata dalla testatrice la fantesca Santina Rovatti, ch’essa s’era tratta in casa fanciulla e del cui fedele servizio s’era per vent’anni lodata...
— Sì! sì!... — proruppe singhiozzando la povera donzella di casa Ratta, a cui l’avvocato inacerbiva una piaga.
E molti le furono intorno a compassionarla, a compatirla, mentre l’avvocato, che sentiva d’avere il suo uditorio in pugno, incalzava più forte:
— Qual meraviglia se una vecchia di ottantacinque anni cedesse e cadesse vittima di questo sistema di ingiustizia e di violenza, ripudiasse quel che aveva già ordinato e scritto, scrivesse quel che le facevano scrivere, andando contro nella debolezza senile della sua ragione ai sentimenti più naturali del suo cuore? Qual meraviglia che un giorno, vicina a battere alla gran porta del supremo giudice, quando pare che nel morente riviva la fiamma della coscienza, chiamasse il suo antico confessore e, approfittando d’un momento in cui si sentiva meno sorvegliata,