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volta fece sedere gl’invitati, pigliando il nome di ciascuno sopra una lista di carta, e procurando di avvicinare le persone più pulite sul davanti e la poveraglia in fondo.
L’Angiolina, non contenta del suo posto, mosse una sedia e andò a collocarsi nel bel mezzo della prima fila, di fianco alla bella e superba cantante, che si degnò di guardar la sua vicina con occhiate lunghe piene di compatimento.
— Oggi canto anch’io, madama; sentirà che voce! — disse apposta per far rabbia a una smorfiosa infarinata come il pan francese.
Madama Sidonia si compiacque di sorridere d’un sorriso che non uscì dalla pelle. Si tirò su, si impettì, e fece capire che non aveva gusto di parlare con persone sconosciute. Venendo in quel momento a capitarle davanti Mauro, si mosse d’un posto e mise tra lei e l’ortolana il ventre del marito.
Intanto, su per le scale, raccolti e guidati dal Boffa, che per la circostanza non s’era nemmen lavata la faccia, venivano altri parenti, cugini di terzo e quarto grado, che di Ratta non avevano che il nome, messi insieme per forza, per fare il numero grosso e per incutere paura a Tognino. C’erano in mezzo a quei poco ben vestiti faccie scialbe di portinai, che respirano l’aria dei sottoscala senza luce, faccie scure di magnani e di ciabattini, faccie lunghe e livide di sarti e di cucitrici, faccie istupidite di contadini, che non avevano conosciuta mai questa loro parente milionaria, che non capivan nulla: gente che don Giosuè era andato a scovare fin dai cascinali della Valsassina (i Maccagno venivano di là) e del basso Milanese, aiutandosi sui registri parrocchiali