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la vecchia ottuagenaria colle storie dell’assedio di Venezia e delle varie combinazioni, con cui si può vincere un terno. Alla sera Aquilino e la Giuditta lo aiutavano a fare il quartetto a tarocco, un gioco vecchio e sempre nuovo, in cui la Ratta, quantunque le carte le svolazzassero di mano da tutte le parti, era una birbona matricolata. E mentre si giocava, Tognino, ch’era stato uomo di mondo, contava o ricordava molte storie del suo buon tempo, quand’era di moda portare i calzoni bianchi e il panciotto di piquè, quando c’erano i bei veglioni alla Scala e il risottino alla milanese, dopo il veglione, al famoso caffè della Cecchina.
Attingendo agli aneddoti dei Cento Anni del Rovani, il bravo cugino sapeva con brio suscitare nei morti sensi della vecchia bigotta l’eco di reminiscenze che risalivano ai baccanali della Cisalpina e della famigerata compagnia della Teppa. L’aneddoto lesto, raccontato con spirito, senza mai urtare la religione cattolica e il sommo Pontefice, strappava alle volte dal petto della paralitica un cachinno asmatico e strascicato, rotto da colpetti di tosse che davano il rimbombo d’un cembalino scordato e lasciavano nelle profonde rughe della sua faccia accartocciata e morta una sgocciolatura di lagrime contente.
Era in questi istanti di serenità, specie dopo certi pranzetti, in cui la Ratta aveva fatto onore al così detto latte dei vecchi, che Tognino le dava a firmare delle note, dei conterelli, delle quietanze. E così andarono avanti benissimo le cose quasi più di tre anni.