Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 233 — |
capo, comparve sulla ringhiera, sforzò senza molta fatica le vecchie e tarlate imposte della finestra lunga che metteva sul ballatoio, entrò, e disse con tono d’uomo ragionevole che sa di parlare a persone ragionevoli:
— Stiano zitti, buona gente, che è il meglio che si possa fare. Siamo venuti di buon’ora apposta per non dare troppo disturbo. Siete voi il Pietro Berretta?
— Sono innocente, o misericordia! No, Ferruccio, salvami, fammi scappare... — pregò il vecchio portinaio, aggrappandosi alle braccia del figliuolo. E senza aspettare che gli mettessero le mani addosso, corse a rifugiarsi nello stanzino, affrettandosi a chiudere l’antiporto dietro di sè.
La guardia ch’era nella stanza, vista la mossa, corse per tagliargli la strada; ma Ferruccio, acciecato da un fiotto di sangue che gli montò al capo, urtò con tutta la forza nel tavolo di cucina e lo rovesciò contro lo sbirro, che sospinto da quella strana macchina, barcollò sulle gambe e cadde mettendo i gomiti nei vetri della finestra.
All’urto, al crepitìo dei vetri sull’ammattonato, la Colomba mandò un grido e corse a rifugiarsi nella stanza di Nunziadina, che alzò dal cuscino la piccola testa imbacuccata, per chiedere il motivo di quel diavolo in casa.
Intanto il Berretta ebbe tempo di chiudere l’uscio per di dentro contro gli sforzi di una seconda guardia, che, entrata dalla porta principale, cominciava un lavoro di leva. L’uscio nella sua fragile costituzione non avrebbe resistito a lungo, se Ferruccio, inferocito dalla guerra, visto che il maggior pericolo era da