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Il Berretta, puntellato ai ginocchi, dondolando, e balzando in piccole scosse, mandava dal naso un soffio pesante d’uomo che dorme.

Si entrò nel secondo mistero.



«Delirava la poverina, chiamando per nome tutte le ragazze della scuola, e i giovinetti che accompagnano le ragazze. A volte credeva di recitare sul teatro, faceva la tragedia e la commedia, sempre in mezzo a una fornace di febbre, sempre con quel ventre alto come una montagna, mentre il bimbo strillava di fame in un cesto. Il Berretta per consiglio del dottore era corso, a piedi, fino a Niguarda in cerca d’una balia.

«Che giornata, che notte di purgatorio! Che cosa non usciva di bocca alla malata? a crederle c’era da ritenere la povera tosa peggiore d’una donna perduta; o bisognava credere che il demonio approfittasse del male per far ballare innanzi alla moribonda solamente le immagini carnevalesche dei veglioni e delle festine da ballo, apposta per perdere un’anima.

«A crederle, Ferruccio non sarebbe stato figlio di quel pover’uomo, che col cuore in bocca correva a Niguarda a cercare la balia. Per fortuna, o per misericordia, il delirio cessò al tornare del Berretta colla contadina. La Marietta entrò in agonia, e non parlò più... Storie di vent’anni fa, che uscivano ora a farsi vive, sotto la scossa degli avvenimenti, mentre toccava al ragazzo di correre per salvare la vita di suo padre...»


E. De Marchi - Arabella. 15