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quietissima, quantunque non fosse ancora molto tardi. Di tanto in tanto sonava un passo sul lastricato e svoltava all’angolo; poi tutto ricadeva nel silenzio.
Fin dove può un uomo ingannare sè stesso? Rileggendo la difesa ch’egli aveva scritto di sè, il vecchio affarista era indotto a credere alle sue stesse parole da una strana e assorbente commozione, che gli faceva gli occhi gonfi.
Quasi si compiangeva come una vittima dell’avarizia e dell’egoismo altrui. E mentre da un lato non riconosceva più sè stesso, provava dall’altro un desiderio senza fine di umiliarsi al cospetto della nuora, di mettersi incatenato in mano sua, di lasciarsi guidare in quante opere di carità, d’indulgenza, di misericordia ella credesse utile di suggerire.
E stava per chiudere la lettera, quando nel silenzio del vicolo e nella profondità delle case risonò sguaiatamente una voce, che fece trasalire nella sua poltrona il vecchio malinconico. Era la solita voce:
— Maccagno birbone! non dormi? quando ti farai impiccare?
Soffiò spaventato sulla candela e si rannicchiò nel buio. Era la prima volta che l’Angiolina osava farsi sentire di notte. Aveva aspettato che Tognino la facesse arrestare; quando si accorse che coi processi l’ometto non osava venire avanti, prese coraggio, e volle cantargli una serenata.
— Non ti tira pei piedi la vecchia Ratta? corbaccio, mercante di carne umana...
La voce stridula e sguaiata, rimbombando nella stretta fessura della viuzza, fece aprire qualche fine-