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colla sua bontà, c’era per l’Augusta un’altra ragione fondamentale che la spingeva a proteggere la sua siora: ed era l’odio accanito che quel pezzo di friulana portava ai siori omeni. Questi dovevano avergliene fatta una grossa al suo paese, da dove era quasi fuggita, una grossa a cui non accennava che con frasi e con pugni in aria, ma che non avrebbe dimenticato più, come non si dimentica più un male irreparabile. Nei pochi mesi che serviva in casa Maccagno aveva avuto campo d’osservare che gli omini sono malignazi, birboni, egoisti anche a Milano come al suo paese, forse come dappertutto, tranne forse quel povero putèlo che scriveva nel mezà, con quegli ocioni neri e grandi come parioli e con quei riccioloni che facevan vogia a vederli.
L’Augusta non avrebbe voluto fare la spia, perchè non era nata per questo mestiere; ma la siora poteva sospettare di lei e la verità è sacrosanta come la messa cantata. Dopo aver tentennato un pezzo la testa, come se sapesse il pro e il contro, incrociate le braccia sul petto, disse inchinandosi verso la padrona, che non cessava mai dal rimestare nei cassetti:
— So mi dove che ’l xe sto astucio.
— Parla, dunque.
— L’ho visto in te la camera del sior.
Avvertita da un pronto consiglio di prudenza e messa in guardia contro le insidie, Arabella ebbe la virtù di reprimere un senso di stupore e d’irritazione, mostrando di prendere la cosa naturalmente. Mandò l’Augusta fuori di casa con un pretesto, e corse a far nuove ricerche nella stanza di Lorenzo.