Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 191 — |
darlo a suo suocero e forse Ferruccio dovette a lei se il principale gli aumentò lo stipendio alla fine dell’anno.
Nei primi mesi del matrimonio Ferruccio aveva fatto un gran discorrere colle zie dei preparativi, della bellezza e della bontà della sposina; poi a un tratto cessò di parlarne e non la nominò più come se fosse morta.
Che cosa era accaduto?
Per quanto egli guardasse dentro di sè non gli riusciva di vederne il motivo; ma tutte le volte che il discorso cadeva naturalmente o era condotto da altri a nominare la signora Arabella, il ragazzo (e a vent’anni egli si sentiva un vero ragazzo) procurava di uscirne presto, o di dargli un’altra piega, qualche volta le fiamme gli uscivano dal viso, o socchiudeva gli occhi, come fanno certi timorati di Dio, quando sono costretti a guardare in faccia a una bella creatura.
Da solo a solo, specialmente di notte, quando si svegliava in mezzo a un sogno lusinghiero, si compiaceva di contemplarla nel buio, a occhi aperti. Capiva che era una sciocchezza, una baia, un passatempo poetico, ma nella sua povertà e nella sua miseria di spirito questa bella immagine signorile teneva il posto che una Madonna dipinta tiene sopra un povero altare di campagna: finchè si abituò a riporre la bella visione tra le squallide idee della sua vita di mortificazioni e di stenti con quella devozione con cui la Nunziadina teneva riguardata nelle logore pagine della sua Filotea una splendida immagine di pizzo a fondo d’oro, a cui dava ogni tanto un’occhiata per far belli gli occhi.