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ma il piccolo nitrito che uscì di sotto al bavero di vecchio pelo, risonando nella canna del camino, gli parve una tal voce, che trasalì.
La stanchezza, la rottura degli occhi lo tiravano a dormire. La paura lo tirava invece a immaginazioni stupide, senza senso, che lo riducevano freddo e stecchito, sulla sedia di paglia. Come tra due pettini di ferro spasimava e invocava l’ora che codesto sor Tognino benedetto si lasciasse vedere. Erano già le due; nevicava sempre.
«Che sugo — ripigliò sbarrando le pupille asciutte sulle braci, che gli ammiccavano dalla cenere — i morti non scappano mica. Che se, per una supposizione, la sora Carolina avesse bisogno di bere, io non sarei mai quel brav’uomo capace di portarle un bicchiere d’acqua.»
«Uno può avere il coraggio di cento leoni, per un’ipotesi, e non sentirsi quello di litigare coi morti. Non è paura, è una... sollecitudine così. Mi contava un maresciallo dei carabinieri a cavallo, il quale... col quale...»
Uno scricchiolio secco di un vecchio mobile spezzò a questo punto le riflessioni del portinaio, che non trasalì, perchè ormai l’uomo e la sedia facevano un pezzo solo, ma la vita precipitò sul cuore, come se si distaccasse a pezzi e a croste. Torcere il collo non poteva più per una dolente rigidezza dell’osso che si attacca alla spina dorsale, colla quale l’uomo sentivasi attaccato alla sedia, e colla sedia e colle gambe attaccato alla pietra del caminetto.
Era un silenzio di tomba. Parevan morti tutti a Milano. Il freddo scendeva dalla canna del camino e infilava l’uomo per i piedi e per la bocca dei calzoni.