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stanchezza, par che dica: — Che fare? ci vuol pazienza...
Il Berretta nel rivedere il luogo e la croce risentì per una naturale associazione d’impressioni un rimescolamento che aveva nel fondo un rimorso, simile a una piccola puntura di spillo. E stava ancora coll’animo sospeso quando da una porticina di fianco sbucò un altro prete, che non aveva nulla a che fare colla nettezza e colla bonomia di don Felice. Era invece un vecchio olivastro, una faccia da contadino, rugosa come una castagna secca: era insomma don Giosuè Pianelli.
— Ci siamo! — disse in cuor suo il portinaio, che capì o credette di capire all’ingrosso il motivo di questa chiamata, e si preparò a sostenere un processo.
— Ti ho fatto chiamare, caro Pietro, per qualche schiarimento. Sedete, don Giosuè.
— Son comodo — disse il canonico, raggruppandosi più che sedendo sopra uno sgabello di legno, mentre il prevosto andava a mettersi nella poltrona di pelle, sotto la croce come il Berretta era solito vederlo due volte all’anno. Il portinaio rimase in piedi tra i due preti inquisitori, sotto la soggezione di quel gran Signore in croce.
— Io non ho bisogno di dirti che facciamo conto sulla tua sincerità, va bene, Berretta? Conosci don Giosuè?
— Eh, se mi conosce, altro che! — prese a dire il canonico, facendosi più vicino, tirando con sè lo sgabello e sedendo in modo da poter osservare il portinaio nella luce obliqua che pioveva di sotto le tende.