I.


Un uomo che non ha visto nulla.


Il terzo venerdì di quaresima, il Berretta fu avvertito che don Felice Vittuone aveva urgentissimo bisogno di parlargli: passare subito in sagrestia.

Capitato per caso Ferruccio, il portinaio lo lasciò di guardia alla porta, si spazzolò le spalle, infilò una giacca, applicò tre o quattro buffetti alla cupola di un vecchio cappello di feltro, che non usava che nelle grandi occasioni, e in quattro passi fu alla chiesa.

Il prevosto lo faceva chiamare spesso per piccole commissioni di cucitura e di rammendatura; perciò il portinaio, non sospettando una trappola, entrò difilato in sagrestia come in casa sua e domandò al Bossi se c’era don Felice.

— Eccolo qui — disse il segrestano.

Lo scricchiolìo di un paio di scarpe, che risalivano la navata della chiesa, precedette il prevosto, un buon vecchietto piccolo e brutto, con molti capelli bianchi, un po’ tremolante, un sant’uomo amato dai poveri per la sua carità e per la sua tolleranza. In questa benedetta faccenda del testamento Ratta egli rappresentava la parte della conciliazione, ma capiva che la