— 11 —

Carolina pareva morta davvero nel suo seggiolone colla solita calza in mano, in cui aveva litigato fino all’ultimo la sua grande vitalità, bisognò subito correre ad avvertire il sor Tognino. Poi bisognò correre al Municipio per le formalità e aspettare due ore che i signori impiegati si degnassero di scrivere. Poi di nuovo bisognò correre alla Società anonima a ordinare la carrozza da morto; poi correre, gambe in spalla, a San Lorenzo, a combinare coi preti. E tira e tira, tra i preti che volevan la polpetta grossa e il sor Tognino che odia i preti, fu quasi una commedia in sagrestia. Poi correre ancora, auf! a recapitare una cinquantina di lettere coll’orlo nero ai quattro punti di Milano... e quando, finalmente, pareva che tutto fosse finito — Neh, Berretta — venne fuori a dire il sor Tognino fresco come un sorbetto — bisognerà che tu rimanga stanotte a far la guardia alla morta. Sul tardi verrò anch’io: ma intanto bada a non lasciar passare nessuno. Se vengono i parenti con un pretesto o coll’altro, tu di’ che hai l’ordine di non lasciar passare nessuno, nes...suno, neh!...

«Ho capito subito che cosa voleva dire con quel dito in aria. Ci vuol poco a capire che il signor Tognino ha paura dei parenti. La vecchia lascia un carro di denari, dei fondi, e un paio di case in Milano e convien sempre mettersi a tavola pei primi. Eredi legittimi non ne ha, ma c’è una nidiata di parenti pitocchi, e i corvi passano dove c’è odor di morto. Staremo a vedere anche questo. Che sugo però di obbligare un povero portinaio, stanco morto, a far la sentinella a un altro morto!»

Il Berretta si sforzò di ridere sulla sua facezia;