XII.


Il tiranno


Un giorno, poco prima dell’ora del pranzo, il signor Tognino, entrando lentamente e cautamente nella camera della malata, la trovò addormentata, più seduta che stesa sul letto, avvolta in parte in uno scialle di lana, colla bella testa sprofondata nel candore del cuscino e delle guarnizioni, la bocca dischiusa a un lieve respiro, avviluppata dal candore niveo del letto, colle mani abbandonate sul libro delle preghiere.

Il suocero collocò delicatamente sul tavolino un fiaschetto di vecchio Xeres, che aveva acquistato apposta, si avvicinò pian piano al letto, posò leggermente la mano sulla fronte della malata, la sentì umida e fresca, e si ritrasse leggermente, mettendosi a sedere in un angolo oscuro, dietro la finestra, da dove poteva sorvegliarla senza essere veduto.

Partita la mamma, era lui l’infermiere e il padrone di casa. Per essere più pronto aveva portato da scrivere nella stanza vicina e vi rimaneva tutte le ore che poteva rubare agli affari. Su Lorenzo non c’era da fare un gran conto; si vedevan di rado; si sarebbe detto che i due uomini da qualche tempo si sfuggissero.