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chè alla nuora non avesse a mancar nulla. Tolse in casa una cuoca, fece collocare una stufa americana in modo che nell’appartamento il calore fosse diffuso uguale e mite in tutte le stanze; e al venire delle prime nebbie, quando Lorenzo usciva la sera a fumare una pipa (il vecchio non aveva mai fumato in vita sua), veniva a tener compagnia alla sposina, attizzava il fuoco sul caminetto; e mentre Arabella sedeva presso la lampada a lavorare all’uncinetto in una babbuccietta di lana rosa, il nonno dava un’occhiata al Corriere della Sera, si faceva contare i casi della giornata, contava egli i suoi, qualche volta pregava sua nuora di mettersi al piano...
Una volta, prima dei quarant’anni, anche lui aveva frequentata la «Scala» con passione. Allora non era ancora inventata la musica difficile. Da orecchiante il suo Verdi lo gustava ancora. Arabella preferiva invece sonar della musica da collegio, del Mozart, del Beethoven, cosette graziose, in cui il vecchio abbonato della Scala sentiva un gusto nuovo, con in mezzo alle note quasi dei ragionamenti che lo facevano pensare. Stava a sentire in silenzio, poi andava a dormire col capo pieno di quella musica, che ragionava a lungo, con dolcezza, in mezzo ai sogni; e gli capitava di risvegliarsi di soprassalto meravigliato egli stesso, come chi si desta a un tratto e vede la camera rischiarata dall’insolito chiarore di una festa che si celebra di fuori. Di interessi e di affari non parlava mai colla nuora. A che pro? gli affari son maschi e le donne son femmine. Arabella non sapeva nemmeno che ci fosse uno studio Maccagno nella casa: non ci avrebbe capito nulla lo stesso. Era contenta che il matrimonio avesse acco-