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forza e dai mezzi, cambiare il bianco in nero, impedire che la rovina menasse la disperazione, e che i suoi fratelli andassero per il mondo come veri vagabondi.
— Senti, Ara, — disse Naldo, parlando sottovoce alla sorella — c’è stato due ore fa il sor Tognino, che ha lasciato un magnifico astuccio per te. Vedessi! è pieno di perle e di diamanti.
— Dov’è?
— La mamma voleva che ti chiamassimo, ma papà Paolino non ha voluto, perchè dice che tu non hai ancor detto di sì. L’astuccio è di sopra nella tua stanza.
— Sta zitto, vado a vedere.
Arabella uscì senza dir altro. Il Pirello rosso e scalmanato agitò tre volte la polenta nel paiolo, riempiendo la cucina d’un buon fumo caldo. La famiglia era quasi tutta raccolta. La Pirella col secchiello in mano e la tazza nell’altra, versava il latte spumoso nelle scodelle di terra allineate sulla tavola. Gli uomini, che lavoravano in casa, prendevan posto sui sacchi, dove s’era messo in guardia anche Brill, un cane ricciuto che non si ricordava più di essere stato bianco. Mario, tornato da pochi giorni dal collegio, entrò colle gabbie e colla civetta e cominciò a litigar forte con Naldo, come al solito. Le donne che avevan fatto il bucato sedevano sotto il portico, al piccolo chiaro del crepuscolo, ciascuna colla sua scodella in grembo; e già tutti ormai avevano trovato il loro posto, il loro piatto, il loro cucchiaio, e le bocche cominciavano a essere occupate, quando l’uscio che mette sulla scala si spalancò e apparve Arabella col lume in mano, coperta il collo, i polsi, il petto,