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libro ii. 67

     Seder fêro i compagni, e i due nel mezzo
     Stetter, non di natura e non d’aspetto1
     50Simiglianti fra lor. L’uno del truce
     Tifeo progenie, o della Terra stessa
     Parto orrendo parea, di quei che un tempo
     Contro a Giove crucciata ella produsse;
     E il Tindàride eroe simile all’astro
     55Era del ciel che vêr l’occaso a sera
     Di bellissima luce acceso splende.2
     Tal di Giove quel figlio, a cui la gota
     Fiorìa bensì del primo pelo, e l’occhio
     Di giovanil serenità brillava;
     60Ma forze e cuor, qual d’una fiera, avea.
     Brandì le mani ad esperir se ancora
     Agili sono, o se dal faticoso
     Oprar del remo intormentite e pigre.
     Non Amico ciò fece: ei se ne stava
     65Taciturno in distanza, a lui guatando,
     E il cuor gli si struggea di fargli il sangue
     Sgorgar dal petto. Un de’ suoi servi allora,
     Licoréo, pose a’ piè di ciascun d’essi
     Due crudi cesti che risecchi e croi
     70Eransi fatti. In arrogante modo
     Amico all’altro: Ecco, dicea, di questi
     Quali tu vuoi, senza gittar le sorti,

  1. Var. ai v. 48-49. Seder fêro i compagni, ed essi in mezzo

    Stetter, non di natura e di persona
  2. Var. ai v. 55-56. Era del ciel, che all’ore vespertine

    Di bellissima luce arde e sfavilla.