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libro i. 61

     Acre contesa e un tempestar di voci
     Per aver di lor tutti abbandonato
     Il più prestante. Attonito, confuso
     Giason non una proferìa parola,
     1645Ma sedea, dentro rodendosi il cuore
     Per sinistro sì grave. Ira ne prese
     A Telamon, che tal gli fe’ rampogna:1
Tu seduto ne stai così tranquillo,
     Perchè ben ti facea non più compagno
     1650Ercole aver: da te il pensier ne venne,
     Perchè poi per la Grecia il suo splendore
     Te non oscuri, ove alle patrie case
     Tornar ne dien gli dei. Ma che più dico?
     Parto ancor io da’ fidi amici tuoi
     1655Che con te fabbricata han questa frode.
Disse, e di lancio invêr l’Agníade Tifi
     Corse. Ambo gli occhi si parean scintille
     Di vivo foco; e ritornati addietro
     Tosto sariéno al Misio suol, pur contro
     1660Al mar lottando e all’incessante vento,
     Se di Borea i due figli aspre parole
     Non movean, per ostargli, a Telamone.
     Sventurati! che poi dura pagarne
     Pena dovean sotto le man d’Alcide,
     1665D’aver fatto al cercarlo impedimento.
     Nel tornar dai certami, onde onorate2

  1. Var. al v. 1647. A Telamon, che tal parlar gli volge:
  2. Var. al v. 1666. Redian essi dai ludi, onde onorate