Acre contesa e un tempestar di voci
Per aver di lor tutti abbandonato
Il più prestante. Attonito, confuso
Giason non una proferìa parola, 1645Ma sedea, dentro rodendosi il cuore
Per sinistro sì grave. Ira ne prese
A Telamon, che tal gli fe’ rampogna:1
Tu seduto ne stai così tranquillo,
Perchè ben ti facea non più compagno 1650Ercole aver: da te il pensier ne venne,
Perchè poi per la Grecia il suo splendore
Te non oscuri, ove alle patrie case
Tornar ne dien gli dei. Ma che più dico?
Parto ancor io da’ fidi amici tuoi 1655Che con te fabbricata han questa frode.
Disse, e di lancio invêr l’Agníade Tifi
Corse. Ambo gli occhi si parean scintille
Di vivo foco; e ritornati addietro
Tosto sariéno al Misio suol, pur contro 1660Al mar lottando e all’incessante vento,
Se di Borea i due figli aspre parole
Non movean, per ostargli, a Telamone.
Sventurati! che poi dura pagarne
Pena dovean sotto le man d’Alcide, 1665D’aver fatto al cercarlo impedimento.
Nel tornar dai certami, onde onorate2
↑Var. al v. 1647. A Telamon, che tal parlar gli volge:
↑Var. al v. 1666. Redian essi dai ludi, onde onorate