Sacrileghe insolenze. Anco già tempo
Fama è che degli dei fean beffa e scherno
I figli d’Aloéo, cui tu di forza
Pur non pareggi; e, ben che forti, entrambo 605I presti dardi li domâr d’Apollo.
Tacque, ciò detto. Ida diè un ghigno, e gli occhi
Sbiecando, petulante a lui dicea:
Su via sciorina i vaticinii tuoi;
Di’ s’anco a me daran gli dei tal morte, 610Qual diè tuo padre agli Aloidi. Pensa,
Pensa al come però dalle mie mani
Potrai salvo scampar, se avvien ch’io poi
Oracolista menzogner ti colga.
D’ira sbuffò, così dicendo; e scorsa 615Più la lite sarìa, se tutti ad una
I compagni gridando, e Giason pure,
Non contenean que’ moti. Orfeo la cetra
Prese allor nella manca, e sciolse un canto.
Cantò come la terra e il cielo e il mare 620Prima in sola una massa eran confusi,
E ciascun poi da quel discorde misto
Fu partito e distinto; e come han sempre
Nell’etere le stelle un fisso lume,
E quale è della Luna e qual del Sole 625L’aerea strada, e come i monti in alto
Surser dal piano, e i fragorosi fiumi
Nacquero in un con le lor Ninfe, e tutti
I semoventi corpi. E cantò poi
Come Ofiòne a’ primi tempi, e seco