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14 argonautica.

     Spirata fossi, e d’ogni affanno uscita;
     Chè tu con le tue mani, o figlio mio,
     355Posta in tomba m’avresti; e questo egli era
     Il sol favor che aver da te mi resta,
     Di mie cure in nutrirti, in allevarti
     Satisfatta abbastanza. Or io fra tutte
     Le donne Achee già in alto onor tenuta,
     360Derelitta or vivrò, pari ad ancella,
     In vuota casa, ahi lassa! del desio
     Struggendomi di te, di te, per cui
     Splendor tanto e diletto ebbi finora,1
     Solo per cui la prima volta il cinto
     365Sciolsi, e l’ultima fu, poi ch’Ilitìa
     Il favor mi negò d’altri portati.
     Oh sventura, sventura! Imaginato,
     Nè in sogno pure, io non ho mai, che Frisso
     Dovea tanta fuggendo a me dar pena.
370Così piangendo ella doleasi, e a lei
     Gemean le ancelle intorno. Allor prendea
     Con molti accenti a confortarla il figlio.
Troppo così non contristarmi, o madre,
     Con lugubri lamenti: il mal, piangendo,
     375Non impedisci, e duolo aggiungi a duolo.
     Imprevedute agli uomini sventure
     Mandan gli dei: tu, benchè assai ti gravi,
     Fa’ di soffrir la parte tua da forte.
     E di Pallade ancor nelle promesse
     380T’affida, e negli oracoli che Febo

  1. Var. al v. 363. Gloria tanta e diletto ebbi finora,