Motti le punser di rimbecco; e quindi
Una di scherzi s’avvivò tra loro
Piacevol gara, una contesa arguta. 2275Su quell’isola poi da quel bizzarro
Giuoco usanza venìa, ch’uomini e donne
Si motteggino a prova allor che fanno
D’Anafe al tutelare Eglete Apollo
Di sagrificii espiatorio onore. 2280Quando di là sotto tranquillo cielo
Scioglieano i Minii, Eufemo allora un suo
Notturno sogno (venerando il figlio
Di Maja) ricordò. Parvegli al petto
Stretta tener quella divina gleba, 2285E di candide stille del suo latte
Tutta irrigarla, e della gleba poi,
Ben che picciola fosse, una formarsi
Donna a vergine pari. Ei di furente
Amor preso per lei con lei mischiossi; 2290Ma poi glie n’ dolse, e qual fanciulla pianse
Che congiunto con donna egli si fosse,
Cui del suo latte avea nudrita. Ed ella
Con dolci detti a confortar lo prese:
Prole io son di Triton; de’ figli tuoi 2295Nudrice io sono, e non tua figlia, o caro.
A me padre Triton, Libia fu madre;
Ma tu dammi compagna alle marine
Di Nereo figlie ad abitar nel mare
Presso ad Ànafe. Io poi fuori dell’acque 2300Alla luce del Sol, quando fia tempo,