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274 argonautica.

     Molti all’isola Ortigia egregi doni.
     E tu dal cielo, o Latonide, udisti
     2245L’umile priego, e l’accogliesti, e ratto
     Scendesti al mar su le Melantie rupi,
     E i piè su l’una delle due fermati,
     Alto brandisti con la destra l’arco
     Di lucid’oro, e una smagliante luce
     2250Tutt’all’intorno lampeggiò da quello.
     Fra le Sporadi allor picciola ad essi
     Isola apparve assai propinqua all’altra
     Picciol’isola Ippùride. Là tosto
     Gittâr l’ancore i Minii, e v’approdâro;
     2255E a splendere nel ciel presta di nuovo
     Tornò l’Aurora. Essi ad Apollo un bello
     Poser delubro entro ad un bosco ombroso,
     E fra l’ombre un altare; e Febo Eglete
     Nomâro il dio per la smagliante luce
     2260Che rischiarolli, e d’Anafe diêr nome
     All’isola, cui Febo a lor mostrava.
     Quivi fêr poi que’ sagrificii al nume,
     Che apprestar potea l’uomo in sì deserta
     Ignuda spiaggia; e allor che poi libando
     2265Sparsero l’acqua insù gli ardenti stizzi,
     Più di Medea le Feacensi ancelle
     Non poterono il riso entro a’ lor petti
     Chiuso tener; chè visto avean frequenti
     Nella reggia d’Alcinoo solenni
     2270Sagrificii di tauri. Ebber diletto
     Di quel ghigno gli eroi che di procaci