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libro iv. 273

     Reggersi in piè su ’l prominente scoglio;
     2215Ma siccome ne’ monti un alto abete,
     Che con le scuri i tagliatori han solo
     Fesso a mezzo, e dal bosco indi partîro;
     E quel da’ venti pria scosso la notte
     Tentenna, e rotto alfin cade dal ceppo;
     2220Tal colui che su’ piedi ancor si resse
     Per alcun tempo, esanimato al fine
     Precipitò con gran fracasso a terra.
Stetter gli eroi tutta la notte in Creta;
     Poi nell’aurora alzarono un delubro
     2225A Pallade Minoide, e rifornita
     Quindi d’acqua la nave, entrano, e forza
     Fanno di remi a superar la punta
     Del Salmónide capo. Ma il Cretense
     Navigando ampio mar, quella li colse
     2230E gli atterrì, quella terribil notte
     Che Catulada appellano. Di stella,
     Nè di luna lucea raggio veruno:
     Occupa il cielo un negro orrore, o s’altra
     Tenebra mai fuor dai profondi abissi
     2235Uscì nell’aria, e più non sanno ormai
     Se in mar son essi o nell’Averno; e al mare
     S’abbandonâr del lor cammino ignari.
     Ma Giason, protendendo alto le mani,
     Febo chiama a gran voce, e di salvarli
     2240Supplice il prega; ed all’afflitto il volto
     Irrigavan le lagrime. Promise
     Molti a Delfo portar, molti ad Amicla,

Bellotti. 18