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libro iv. 267

     E agl’indigeni dei porgasi in dono
     Per un fausto ritorno. A quel consiglio
     2045Scesero a terra, e del presente sacro
     Fêr solenne profferta. Incontro a loro
     Simigliante a garzon mosse il possente
     Tritone, e dal terren tolta una gleba,
     Ospital dono a lor la porse, e disse:
     2050Questa, amici, prendete. Io prezïosa
     Cosa non ho che ad ospiti dar possa;
     Ma se le vie che portan quinci al mare
     Anelate trovar, come sovente
     Braman gli erranti in peregrini luoghi,
     2055Io mostrerolle; chè mi fe’ perito
     Di questo mare il padre mio Nettuno,
     Ed hovvi impero; e ancor di qua lontani
     Voi d’Euripilo il nome udiste forse,
     Nato in Libia, di fiera altrice terra.
2060Ei sì disse, e alla zolla alacremente
     Stese Eufemo le mani, e a lui rispose:
     L’Attica e il mar che da Minosse ha nome1
     (Se conoscenza, o eroe, tu n’hai), l’insegna
     A noi, che te n’ chiediam, veracemente.
     2065Qua di nostro voler non siam venuti,
     Ma da fiere procelle ai lidi estremi
     Di questa terra spinti, abbiam la nave
     Per terrestre cammino a gran fatica
     Fin qua portata, a questo lago; e ignari
     2070Siam d’onde uscir per all’Achea contrada.

  1. Var. al v. 2062. L’Apia, ed il mar che da Minosse ha nome,