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libro iv. 265

     1985Del cocente meriggio un fiero serpe
     Sotto alle arene si giacea, non presto
     Ad assalir chi non gli nuoce, e l’uomo
     Che da lui fugge, ei d’inseguir non cura;
     Ma qualunque animal che vive in terra,
     1990L’atro veleno appena in sè n’accolga,
     Non più lunga d’un cubito è per esso
     La via dell’Orco; e nè Peon (se tanto
     Dir lice apertamente) a medicarne
     Pur sol varrebbe di que’ denti il tocco;
     1995Poi che Perseo divino (Eurimedonte
     Dalla madre nomato) allor che a volo
     Passò sovra la Libia, al re portando
     Della Gòrgone il capo allor reciso,
     Le tutte gocce di quell’atro sangue,
     2000Che a terra ne grondâr, divenner germi
     Di quelle serpi. Ora il sinistro piede
     Mopso avanzando, col tallon compresse
     A quell’angue la spina; e quel per duolo
     Ritorcendosi in alto, a lui di morso
     2005Diè nella carne, e della tibia a mezzo
     Gli ferì l’osso e il muscolo. Medea
     Ne inorridì; ne inorridîr le ancelle:
     Egli animoso la letal ferita
     Si toccava, chè molto il duol non era.
     2010Misero! nelle membra era già sparso
     Il sopor della morte, e già sugli occhi
     Gli si addensa una nebbia; grave a terra
     Inchinandosi cade, e senza spirto