Poi che i venti notturni avean sommossa
L’arena sì, che ogni vestigio, ogni orma
N’era scomparsa. I due di Borea figli 1930Tosto mossero in loro ali fidando,
Ne’ piè celeri Eufemo, e quei che lunge
Scerne, acuti vibrando occhi, Linceo.
Quinto fu Canto, cui de’ numi il fato
E il forte animo suo spinser d’Alcide 1935Alla ricerca per saper da lui
Ove lasciato egli ha d’Èlato il figlio,
Polifemo; chè a lui troppo era a cuore
Del suo compagno investigar la sorte.
Ma costui, poi che a’ Misii ebbe fondata 1940Un’illustre città, per lunghe vie
Camminando di terra Argo cercava;
Ma de’ Calibi giunto alle marine
Coste, la Parca ivi l’estinse, e a lui
All’ombra d’un gran pioppo in riva al mare 1945Posto fu il monumento. Or poi d’Alcide
Solo parve a Linceo lontan lontano
La figura veder, come taluno
O vede appena, o di veder gli pare
In fra le nubi la novella luna; 1950Però disse tornando a’ suoi compagni,
Che per correr ch’uom faccia a quella volta
Niun potrebbe arrivarlo. E sì ritorna
Il piè-celere Eufemo, ed ambo i figli
Del Tracio Borea tornano delusi 1955Di lor vana fatica. Ma te, Canto,