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libro iv. 251

     1580Cantavano Imeneo; poi da sè sole,
     Danzando a tondo, a te, Giunon, di laude
     Modulavano un inno, a te che posto
     Hai d’Arete nel cuor di far che conta
     Pria d’Alcìnoo la mente a Giason fosse.
     1585Or poi che il re la sua sentenza espose
     Già del fatto connubio era la fama
     Diffusa intorno. Ei stette fermo, e grave
     Timor no ’l vinse, e non d’Eeta i fieri
     Sdegni; inconcusso il giuramento ei tenne.
     1590Ben conobbero i Colchi essere indarno
     L’opporsi a lui che d’osservar sue leggi
     Imponea loro, e allontanâr dai porti
     Di sua terra lor legni; ond’ei tementi
     Del proprio re le minacciate pene,
     1595Umilemente lo pregâr d’accorli
     Ospiti amici. E tra’ Feaci poi
     Abitâr lungamente, in fin che a stanza
     I Bacchìadi che d’Èfira son genti,
     Vennero quivi. Allor migrâro i Colchi
     1600Nell’isola a rincontro, e degli Abanti
     Indi a’ monti Cerauni, ed a’ Nestei,
     E ad Orico venian, ma dopo molto
     Rivolgere d’etadi. Or delle Parche
     Tuttavia quivi l’aere, e delle Ninfe,
     1605Che nel tempio devoto al Nomio Apollo
     Alzò Medea, di sagrificii ogni anno
     Ricevono tributo. Allor che poi
     Si partivano i Minii, Alcìnoo molti